vilardo

Stefano Vilardo nasce il 22 marzo del 1922 a Delia. Stefano, che è l’ultimo di quattro figli, vive a Delia con la madre e le due sorelle Angelina e Maria e il fratello Luigi che perse la vita a soli sedici anni.

 Il padre, emigrato in America come tanti compaesani a quei tempi, mantiene la sua famiglia e torna di tanto in tanto a Delia. Nel 1937, a quindici anni frequenta la prima classe dell’Istituto Magistrale a Caltanissetta ed è proprio qui che incontra Leonardo Sciascia poi suo amico per la vita.

Con Sciascia, Vilardo inizia a coltivare l’amore per la letteratura e la poesia; acquistavano, infatti, i testi scolastici in società e investivano il denaro risparmiato in romanzi e in libri di poesie.

Nel 1942 consegue il diploma magistrale e per anni insegna alle elementari di Delia ed in seguito di Caltanissetta.

Sposa Giuseppina Calabrò il 26 luglio del 1953 e testimone alle loro nozze è Leonardo Sciascia, al cui matrimonio Vilardo è già stato testimone.

Nel 1972 si trasferisce a Palermo, con la moglie e i tre figli Luigi, Orazio e Concetta. A Palermo continua ad insegnare come maestro elementare, frequentando sempre assiduamente Leonardo Sciascia sino il giorno della sua scomparsa.

 Attualmente, dopo la recente morte della moglie,vive a Palermo in un quartiere residenziale con uno dei figli.

Andando a ritroso nel tempo, scopriamo l’esordio poetico di Vilardo che nel 1954 pubblicò presso l’editore Salvatore Sciascia di Caltanissetta il suo primo volume di poesie “I primi fuochi” versi certamente un po’ acerbi data la giovane età dell’autore, ma che lasciavano intuire delle ottime potenzialità.

Il primo a recensire questo libretto di versi fu il giovane Leonardo Sciascia che in un articolo apparso sul “Gazzettino di Sicilia” nel marzo 1954 esponeva le sue impressioni.

<<Oltre ad una autentica ispirazione, Vilardo possiede un avvertissimo gusto, una sensibilità nuova della parola, indubbiamente maturata su testi contemporanei e, soprattutto, sui testi di un Quasimodo […] Ma quello che è suo, in modo personalissimo e sicuro, è il senso di una acuta malinconia, di una solitudine umana in cui è riscontrabile una precisa geografia sentimentale: il suo paese di Delia, la campagna intorno nelle vicende della luce e delle stagioni – un paesaggio in cui si iscrive questa sua storia di fonda malinconia e solitudine->> (SCIASCIA 1954).

Un altro critico, Arcangelo Russo, con un articolo pubblicato nel 1960 su “Presenza Cristiana” insisteva sulla forte valenza nella poesia di Stefano Vilardo del paesaggio.

<<Vilardo è un poeta sensibilissimo al paesaggio: un paesaggio le cui variazioni hanno una dominante nota di pallide lune, di lontani latrati, di alberi scheletriti. […] E’ uno sguardo che si posa, sconsolato o fidente, sulla natura, per coglierne le voci e sentirne, di rimbalzo i molteplici echi nel cuore. Saremmo tentati di dire che si nasconde nei suoi versi un itinerario, chiuso agli sguardi indiscreti: dalle cose al cuore, dal cuore a Dia Compagna, in questo cammino, é a lui la tristezza che gli da il senso della solitudine>>. (RU5S01960)

Nel 1960 viene stampato ancora presso l’editore Sciascia di Caltanissetta, il volume di poesie di Vilardo dal titolo “Il frutto più vero” e in un articolo del “Giornale di Sicilia” del luglio 1965 Antonino Cremona commenta l’evoluzione poetica dell’autore.

<<Questo poeta deliano mantiene un’evidente continuità nel proprio lavoro […] Spesso si svolge nell’ambito tenue del bozzetto in cui entrano stavolta – con più numero e peso – (quale condizione di vita bestiale nei succubi) e il dolore (11 frutto più vero) del feudo e della miniera. Con meraviglia Vilardo si avvede del proseguire della vita – della natura e dell’uomo in quei luoghi di sofferenza. E il suo sperare è alimentato proprio da questo imperterrito continuare di una vita sostanzialmente minerale e di fauna e di flora>> (CREMONA 1965).

La terza pubblicazione “Tutti dicono Germania Germania” del 1975, edita dalla Garzanti, è una raccolta di 42 storie di emigranti trasposte in versi.

 Quest’opera quasi unica nel suo genere, riscuote molti consensi e rende noto Vilardo ad un pubblico più ampio. Infatti, sul “Resto del Carlino” nel gennaio 1976 Claudio Marabini esamina criticamente il volume.

<<Ho letto questo libro di versi di Stefano Vilardo come un piccolo Spoon River dell’emigrazione […] il libro pecca di monotonia; ma è un’uniformità voluta, scontata; e scontata al punto che a un certo momento il lettore sente questi personaggi di emigrati (ed emigranti) come un’unica persona, una sorta di meta-personaggio che diventa il segno e l’incarnazione di un destino […].

Vilardo ha dato questo libro; e nel suo grigiore, nella sua monotonia, nella ripetizione dei suoi motivi principali esso rappresenta per immagini la condizione di una larga società, la sua squallida esistenza […] La poesia l’affianca con la discrezione di un `ombra che pretende soltanto di porre un sigillo d’umanità>>. (MARABINI 1976)

Anche Vincenzo Galati in un articolo pubblicato su “Avvenire” nel marzo del 1978 non risparmia parole di apprezzamento all’opera di Vilardo.

<<In questi 42 “racconti” di “Tutti dicono Germania Germania” […] Vilardo, dopo le prime esperienze poetiche che non lo interessano più sembra aver ritrovato se stesso e il senso nuovo dell’uomo che s’interroga sulla società e sull’arte, di cui certamente possiede il talento naturale; egli, infatti, ha saputo cogliere con squisita sensibilità, la tragedia e il melos delle parole della sua gente esprimendoli in una forma linguisticamente efficace>>. (GALATI 1978)

Nel 1977 esce il volume “Il paese del giudizio” edito da Il Vespro di Palermo, che racchiude dei racconti popolari in vernacolo raccolti da Salvatore Salomone Marino e tradotti in lingua italiana da Stefano Vilardo e da Aurelio Rigoli.

Nel 1988 l’ultimo volume di poesie “Gli astratti furori” viene pubblicato nuovamente dall’editore Salvatore Sciascia di Caltanissetta. Su “Catania Sera” nel luglio del 1988 Rino Giacone esprime il suo giudizio sulla quarta opera poetica di Vilardo.

<<Si tratta, a mio parere, dell’opera più matura e completa di Vilardo; un’opera che affronta i temi più attuali di questo nostro vivere in un mondo che ha sostituito miti e credenze. Il libro si compone di cinque parti ognuna delle quali sembra voler condensare in se un aspetto della realtà socio politico filosofico – sentimentale in cui siamo immersi>>. (GIACONE 1988)

Sempre su “Catania Sera” nel febbraio 1989 Emanuele Schembari dedica un articolo al libro di poesie di Vilardo “Gli astratti furori” di Vilardo è un’opera carica di significati allusivi che rappresentano il viaggio iniziatico verso la conoscenza di se e verso la purificazione di un cupo misticismo di fondo, con il quale il poeta tende ad alzarsi verso la luce delle certezze.

 Lo scavo della parola e la raffinatezza espressiva sono le prove di una validità poetica di acquisito rilievo in una poesia attenta dei problemi dell’uomo, di cui esprime sottilmente certi risvolti dolenti. Per concludere, riteniamo che si tratti di poesia autentica e di alto livello>> (SCHEMBARI 1989).

Nel 1990 Stefano Vilardo pubblica con la casa editrice Sellerio di Palermo il suo primo romanzo Una sorta di violenza che racconta la vita piuttosto travagliata e disgraziata di Lorenzo Cutrano, il cui nome è ovviamente fittizio.

Si trattava in realtà di un amico di Vilardo e Sciascia. Questo romanzo restò in gestazione per ben quindici anni prima che l’autore lo desse alle stampe. Di recente, precisamente il 12 settembre 2000, in un’intervista di Francesca De Dominicis, apparsa su “Stilos” Vilardo rivela il motivo che lo indusse a tergiversare tanto a lungo prima di ultimare e pubblicare il suo romanzo: “Perché il monumento che era Sciascia senza volerlo mi faceva ombra.

Avevo accanto il romanziere per eccellenza, per cui nutrivo una specie di timore reverenziale. Fino a quando Leonardo, che sapeva di questo lavoro, mi chiese di farglielo leggere e dopo mi suggerì di darlo a Elvira Selleria. Io facevo il poeta e lui lo scrittore.

Da ragazzi, compagni di scuola, c’eravamo divisi gli incarichi: allora lui doveva fare il regista ed io l’attore. Non ci facevamo scappare un film. Ogni sera a Caltanissetta eravamo al cinema Trieste o all’Impero”.

Salvatore Rossi nel febbraio del 1991 in un articolo su “La Sicilia” di Catania esprime il suo giudizio sul romanzo esternando il suo pieno consenso.

<<Un romanzo amaro e senza speranza, dunque, in cui l’esito migliore va scorto nella capacità d’inserimento di una vicenda desolatamente individuale nello scorrere lutulento degli eventi. Personaggio destinato a rimanere indimenticabile, questo di Lorenzo, incessantemente sollecitato dalla speranza che la fortuna cambi e continuamente frustrato dall’avversità della sorte. […]

A pagine assai linde e ricche persino di citazioni colte o di periodi ritmici si intrecciano altre in un lessico siciliano volgare e sovrabbondante di difficile comprensione per i non siciliani.

Un romanzo forse indisponente per la sua agrezza, ma calibrato e robusto, importante in un’epoca in cui la narrativa persegue fin troppo la pulizia della forma e il vuoto dei contenuti>>. (ROSSI 1991)

Anche “Il Resto del Carlino” di Bologna, segno che non solo i conterranei si interessano e apprezzano l’opera di Vilardo, dedica ad “Una sorta di violenza” una lunga recensione di Fausto Gianfranceschi nel marzo del 1991.

<<“Una sorta di violenza” non è soltanto un `opera letteraria, è anche il documento antropologico di un mondo dove si conservano valori altrove perduti, sottintesi in usanze le cui origini risalgono forse nei millenni>>. (GIANFRANCESCHI 1991)

Nuovamente su “La Sicilia” di Catania nel novembre 1991 Rino Giacone scrive di Vilardo.

<<Vilardo pubblica con la Sellerio il suo primo romanzo “Una sorta di violenza” che Battiato senza alcuna perifrasi ha definito un capolavoro, è uno dei romanzi più memorabili della nostra letteratura, un testo di notevolissima creatività per la sua veemenza lessicale, per il suo profondo scandaglio antropologico, per l’uso del dialetto anche a livello di una lingua altra recuperata, per le sue fitte problematiche sociali>>. (GIACONE 1991)

Nel 1997 esce il secondo ed ultimo romanzo di Vilardo “Uno stupido scherzo”, pubblicato dalla Sellerio di Palermo. Il protagonista Stesté ricorda alcuni anni della propria fanciullezza e i personaggi in cui era a contatto in quel periodo della sua vita.

Sul periodico “Penna d’autore” nel trimestre ott. nov. dic. 1997 Lilly Bennardo ha, in una breve recensione, schizzato alcune sue impressioni su “Uno stupido scherzo”.

<<Ciò che ravviva la narrazione è la descrizione dei paesaggi e dei suoi abitanti, dal contadino all’artigiano, dall’impiegato al notabile: una galleria di personaggi ritratti al naturale coi loro pregi e difetti, modo di pensare, di esprimersi e di agire. I fatti quotidiani (scherzi della vita?), che implicano sempre la partecipazione di più persone, sono narrati con vivezza di particolari e ritmo costantemente brioso, scanzonato, e la lettura scorre, avvincente e coinvolge quasi a divenire come una vicenda vissuta>>.(BENNARDO 1997)

Su “La Sicilia” nel luglio del 1997, Salvatore Rossi, non nuovo nel recensire Vilardo e certamente attento ad ogni nuova pubblicazione, ha con un suo articolo detto la propria sul suo ultimo romanzo.

<<Vilardo, scrittore ricco di problemi e con un sottile fondo di amarezza, in quest’ultima prova ricorre ancora all’uso di un’ironia che mentre sembra volere alleggerire il racconto, in realtà rivela le infinite magagne della vita. […] Non sono, però, i fatti che qui contano, quanto il modo in cui vengono raccontati. Vilardo ci da un mirabile esempio di stile personalissimo, dal lessico frequentemente siciliano e dalle descrizioni cariche di antiletteraria pregnanza. […]

 In un momento di crisi come quello attuale, Vilardo tenta una nuova strada, affidandosi alle parole di un mondo antico che, proprio per la loro forza, devono essere resuscitate, non per un gioco da esteta, ma per riandare indietro nell’adolescenza, per poi scoprire che nulla è mutato e consacrare l’enigma di un’esistenza che rimane sempre indecifrabile>>. (ROSSI 1997)

 

[Tratto dalla tesi di laurea di Giuseppina Stefania Mandalà:

Stefano Vilardo-Voce di memoria]