La splendida villa di Cappellano è posta sopra un’altura a 482 m.s.l.m. a circa due Km. in direzione nord-est dal centro abitato di Delia.

Il territorio dell’omonimo feudo su cui insiste la villa-fattoria, per le sue caratteristiche ambientali molto favorevoli ad un suo sviluppo agro-pastorale, è stato frequentato fin da epoca preistorica.

Ne sono testimonianza le tombe a grotticella e a forno scavate nella roccia della collina a sud della villa.

In epoca romana il feudo era anche attraversato dal “Cursus Publicus”, l’antica strada descritta nell’ “Itinerarium Antonini” che congiungeva Catania con Agrigento.

Questa importante strada romana che tagliava da est ad ovest la Sicilia passava per Delia dove era ubicata la Statio Petiliana.

La reggia trazzera (strada montagna-marina) che congiungeva Piazza Armerina ad Agrigento attraverso Barrafranca, Delia, Canicattì, Catrofilippo e Favara insisteva sicuramente sul vecchio tracciato romano come dimostrano le tracce ancora presenti del passaggio dei romani in contrada Draffù-Marrocco.

La villa di Cappellano fu costruita prima ancora della fondazione di Delia intorno alla fine del 1500 ad opera dei padri Gesuiti che avevano ricevuto in dono il feudo omonimo da Francesco Moncada e dalla moglie donna Luisa De Luna e Vega di Caltanissetta.

Esso è uno dei pochi esempi di monastero-fattoria esistente in Sicilia, che funzionava come campo di studio e di sfruttamento agricolo del territorio.

Con le sue stalle, i magazzini, le cantine, i frantoi e i granai era una fiorente azienda agricola, gestita dagli intraprendenti Gesuiti, che davano le terre lottizzate in enfiteusi ai contadini della zona.

A seguito dell’espulsione dei Gesuiti dalla Sicilia nel 1767 i fondi di Cappellano furono dati in gabella a un tale reverendo Giuseppe Di Miceli e successivamente a Don Filippo Cremona che concesse parte del feudo in enfiteusi a ventisei contadini deliani.

Nel 1808 i Gesuiti ritornarono a Caltanissetta e tra i beni che furono loro restituiti faceva parte anche il fondo di Cappellano.

Nel 1843 i fondi di Cappellano risultano assegnati, forse in enfiteusi, a Nicolò Micelisopo, Stefano Candura, Salvatore La Verde, Cosimo Longo e Domenico Pagliarello.

Con la soppressione dei beni ecclesiastici voluta dal nuovo Stato unitario, nel 1866 il feudo di Cappellano fu, come gli altri fondi religiosi, messo all’asta e comprato dall’aristocratica famiglia dei baroni Calafato di Caltanissetta.

Il 3 Dicembre 1939 la Villa fu venduta alla diocesi di Caltanissetta che la utilizzò come villeggiatura estiva per i seminaristi fino al 1958.

Nel 1972 fu venduta a privati. Oggi è ritornata proprietà della diocesi nissena.

La villa Cappellano è un gioiello di arte barocca, ricco di ampi spazi residenziali e all’aperto, con una chiesetta al servizio della comunità dei padri Gesuiti.

Vi si accede attraverso una strada sterrata che congiunge la strada provinciale Caltanissetta-Delia con la corte quadrangolare del complesso e con l’antistante recinto rettangolare del vecchio orto.

La villa-fattoria si compone di una serie di caseggiati ai quali si accede attraversando una galleria d’ingresso che immette in un vasto cortile quadrangolare che presenta al centro due pozzi.

Appena superata la galleria, campeggia di fronte all’occhio del visitatore la vasta facciata principale che si compone di due piani: piano terra e piano nobile, contrassegnati da tre file di aperture.

Per il portale d’ingresso a tutto sesto è stata usata una pietra bugnata molto in voga nel primo barocco palermitano mentre il sovrastante balcone concavo polilobato è sorretto da cinque mensole con complessi motivi floreali.

Tale composizione con l’uso del bugnato e la scansione del potale d’ingresso sovrastato dal balcone principale che segna la simmetria della facciata, ha un’illustre analogia nel monastero dei Benedettini a Mileto Val di Catania.

Tale monumento fu sicuramente opera del grande architetto Valeriano De Franchis che fu progettista anche di altri importanti conventi e morì intorno al 1625.

Ma anche se c’è una concordanza di date con il convento dei Gesuiti di Delia, non esiste nessuna prova della presenza del De Franchis nel territorio nisseno o di suoi contatti con l’ordine gesuitico.

Altri pensano anche all’intervento dell’architetto gesuita Natale Masuccio che in quegli anni operò nella fabbrica della chiesa di Sant’Agata, anche se i canoni utilizzati dal valente architetto nelle varie chiese e monasteri gesuiti siciliani si allontano dalle caratteristiche stilistiche della villa Cappellano.

Il piano terra è diviso da quattro vasti ambienti illuminati dalle finestre che corrono lungo il falso ammezzato.

Dei quattro ambienti i due laterali, perfettamente uguali, sono dei saloni tripartiti da una duplice fila di pilastri centrali.

La loro destinazione d’uso poteva essere il refettorio e il laboratorio.

Nella parte centrale invece i due grandi vani sono occupati dall’androne, dalla grande scala d’accesso al primo piano e da un vasto frantoio ancora completo di mole e vasche di raccolta.

Il piano superiore era destinato alle celle le dei frati. Le sedici stanze, tante quante sono le finestre del primo piano sono servite da due ampi corridoi con volta a botte che si intersecano proprio al centro del piano formando una volta di crociera.

Le celle sono pressappoco tutte della stessa dimensione e presentano delle coperture con volte a padiglione. Solo quelle centrali sono provviste di camini.

Di pregevole fattura è pure la cappella del complesso, dedicata al Sacro Cuore di Gesù.

La facciata è caratterizzata dall’interessante portale a tutto sesto completamente in pietra. Anche qui è presente l’uso del bugnato, ma a differenza del portone della villa due paraste lievemente aggettanti sorreggono un architrave decorato con motivi a metope, triglifi e gocciole.

Direttamente collegata all’architrave è la finestra che illumina l’ambiente interno.

Una croce in pietra su uno stemma ormai consunto definisce in alto tutta la facciata.

Dell’interno rimangono ancora le decorazioni interne a riquadri, sagomati e modellati in stucco bianco alla maniera del Serpotta, sia nelle sovrapporte che nella grande volta a botte.

Lateralmente una finestra circolare (ad occhio), che avrà notevole successo nel barocco catanese del ’700, illumina la zona presbiterale della cappella.

L’altare maggiore, ormai seriamente lesionato, è particolarmente ricco di decorazioni in stucco: putti, festoni, foglie d’acanto, stemmi sono incorniciati da due snelle colonne tortili poste su un piedistallo con motivo a diamante e sormontate da un architrave di coronamento.

Degli antichi arredi sacri non esiste più niente. Si ha testimonianza della presenza di un pregevole quadro di San Francesco Saverio copia di quello del Crestadoro che si trova nella Chiesa del Collegio di Caltanissetta.

Inoltre, l’interno era adornato da una complessa cornice barocca, che oggi si trova nella Madrice di Delia, testimonianza della ricchezza e munificenza che raggiunse la chiesa di Cappellano.

Scolpita in legno di noce, vi si alternano tra volute e putti le tre virtù teologali e nella parte alta la “Concezione” che fa ritenere contenesse la tela raffigurante l’Immacolata.

La tradizione vuole che sia stata scolpita, per volere da donna Luisa De Luna e Vega Moncada, da un frate gesuita che v’impiegò dieci anni. Infine è da citare la pavimentazione in maiolica del Settecento calatino che si trova nell’attigua sacrestia.

Oggi il complesso versa nel più totale stato di abbandono e già sono presenti segni di cedimenti della struttura.

Angelo Carvello.