AMMINISTRAZIONE FEUDALE

I Signori di Delia, prima i baroni Lucchese e poi i principi di Palagonia, abitavano quasi stabilmente a Palermo e quindi gestivano l’amministrazione del loro paese attraverso figure istituzionali di loro fiducia: il Governatore, l’Arrendatario, il Secreto, il mastro Notaro, il Tesoriere e l’Archiviario.

Il Governatore della terra, amministrava tutto il suo patrimonio ed era l’uomo nel quale il barone riponeva tutta la sua fiducia perché faceva le sue veci nella supervisione dei molteplici aspetti dell’amministrazione del paese e dei feudi.

Rappresentava il barone in tutti gli atti più importanti quali vendite, gabelle, soggiogazioni che eseguiva dietro relative procure del notaio.

 L’Arrendatario aveva in appalto tutte le gabelle, le proprietà mobili ed immobili del barone.

Il Secreto gestiva il soggiorno dei nuovi vassalli-contadini che arrivano in paese.

 Accanto a questi due amministratori, molto importante era il mastro Notaro che era deputato a registrare ogni gabella di terra, piccola o grande e compilare atti e documenti alla presenza del governatore, del vassallo e dei testimoni.

Nella gestione patrimoniale della baronia c’erano anche le figure dell’Archiviario e del Tesoriere o Contatore.

 Il primo custodiva e teneva in ordine nel pubblico archivio gli atti pubblici, le scritture private, la corrispondenza e i dispacci; il secondo aveva la cassa dell’amministrazione feudale e con denaro liquido riscuoteva e pagava come un odierno cassiere.

In genere, l’amministrazione preposta alla gestione della baronia risiedeva nel palazzo baronale che nel periodo della fondazione e probabilmente per tutto il 1600 ebbe la sua sede nel vecchio Castello medievale nell’odierna omonima piazza che, evidentemente, nei piani alti fu ristrutturato e riadattato ad abitazione per il barone.

 Nei sotterranei del Castello erano ubicate le carceri civili e criminali per gli uomini e anche per le donne.

Nel pianoterra attorno ad un grande baglio erano ubicati i locali destinati a dispense e magazzini per le derrate alimentari.

 

AMMINISTRAZIONE CIVILE E GIUDIZIARIA NEL PERIODO FEUDALE

L’organizzazione civica e giudiziaria dei paesi di nuova fondazione era abbastanza articolata.

La prima autorità del comune era il Capitano; a lui sottostavano tutte le altre autorità civili e giudiziarie.

 Presiedeva il Consiglio civico e manifestava per primo il voto. Negli atti pubblici, al pari del Governatore era chiamato col titolo di “Magnifico”. Oltre a presiedere il Consiglio civico, amministrava la giustizia assistito da un Giudice.  Compilava i processi, riceveva le accuse, sentiva i testimoni, faceva arrestare gli imputati, ne ordinava eventuali trasferimenti nelle carceri di Caltanissetta o di Palermo.

 

Amministrazione Civica

L’organo preposto all’amministrazione comunale, era il Consiglio civico che era, grosso modo, come il Consiglio comunale dei nostri giorni.

Era composto da alcuni membri di diritto (Giurati, Giudici, Sindaco), da alcuni senza diritto di voto (Parroco, Vicario curato, Superiore di convento) e dai “Vocali” che erano i rappresentanti dei tre ceti della popolazione.

Il ceto più numeroso era quello dei mastri che comprendeva artigiani, barbieri, muratori, ferrai, corvisieri (erano i calzolai che fabbricavano scarpe; gli scarpari, invece, erano i ciabattini che le aggiustavano), falegnami, molinari, custureri (sarti), etc.

 C’era poi il ceto dei liberi professionisti: avvocati, medici, aromatici (farmacisti). Infine, c’erano i borgesi: i massari proprietari di terre e vigne.

In pratica, i vocali erano i capi famiglia del paese. Il Consiglio veniva convocato preferibilmente di domenica nel palazzo baronale o in chiesa o nella casa dei Giurati, la Secrezia, che poi diventò l’odierno municipio.

Dopo l’autorizzazione del barone, i Giurati convocavano il Consiglio presieduto dal Capitano. Il Consiglio civico operava secondo le leggi e le disposizioni emanate dal Parlamento e dal viceré ed aveva il compito di approvare il bilancio del comune con le entrate e le uscite e di imporre le gabelle spettanti al comune.

Il Sindaco difendeva gli interessi dei cittadini, controllava o “sindacava” l’erogazione delle spese fatte col pubblico denaro. In principio fu eletto dal barone, col tempo su proposta dei Giurati o del Consiglio civico.

I Giurati erano nominati dal barone, formavano la Corte giuratoria e, insieme al Sindaco, al mastro Notaro e al Tesoriere, costituivano la rappresentanza del comune.

 I Giurati possedevano, in genere, quegli attributi che hanno oggi gli assessori. Inizialmente erano tre, con l’accrescersi della popolazione aumentarono di numero. Sopraintendevano a pesi e misure, curavano l’edilizia e, nei momenti di epidemia, assistiti da una commissione di probiviri, detta “Deputazione della salute”, assumevano provvedimenti eccezionali come quelli di istituire cordoni sanitari, luoghi di quarantene, lazzaretti e assumere personale straordinario.

Il mastro Notaro corrispondeva all’attuale segretario comunale e redigeva gli atti e i bilanci. Veniva scelto dal barone tra i notai che esercitavano nel comune e doveva essere una persona idonea per integrità morale e competenza.

Il Tesoriere teneva la cassa dell’amministrazione comunale e, come l’odierno economo riscuoteva e pagava con denaro liquido.

Accanto a queste figure principali, nell’organizzazione civile operavano il “Medico fisico”, il predecessore del medico condotto, per curare gratuitamente i più poveri, l’ “Aromatario” cioè il farmacista che teneva spezie e medicine di erbe, le “Nutrici” per i bambini abbandonati e la “Rotara” che controllava, soprattutto di notte, la ruota presso cui venivano abbandonati i bambini appena nati da coppie illegali.

 

Amministrazione Giudiziaria

La vita dei nuovi abitanti non fu regolata soltanto dalle leggi del re spagnolo, capo dello Stato, ma anche da un proprio e specifico ordinamento amministrativo, civile e giudiziario che vedeva il barone fondatore, al pari di un re, arbitro assoluto e garante.

 Ogni paese aveva un proprio tribunale. Secondo la legge, il Capitano era l’autorità più alta del comune ed era anche a capo dell’amministrazione giudiziaria. La corte del Capitano comprendeva la “Corte criminale” composta dallo stesso Capitano e dal Fiscale e la “Corte civile” con il Giudice ordinario.

Le due corti giudicavano rispettivamente i fatti criminali e quelli civili, perseguivano i rei, promuovevano procedimenti, carceravano i condannati. Corte capitanale e Corte civile amministravano, in pratica, la giustizia nel paese.

 Senza dubbio erano le istituzioni più notevoli ed influenti del paese e da essi dipendevano la tranquillità e lo stesso sviluppo del paese. Agli ordini delle due corti vi erano i “Bagli”, i “Provvisionali” e il “Castellano”.

I “Bagli” avevano l’incarico di sorvegliare le campagne per prevenire furti e danneggiamenti nell’abitato, specie nelle ore notturne, e sopraintendevano alla pubblica sicurezza in tutto il territorio.

I “Provvisionali o Compagni” avevano il compito di perlustrare e tenere sotto controllo il territorio. Erano scelti tra i giovani del paese ed erano comandati da un Caporale per l’esecuzione materiale dei servizi di polizia.

Il popolo li chiamava alabardieri perché portavano l’alabarda.

Il “Castellano o Carceriere” attendeva alla guardia dei detenuti ed era nominato dal popolo. Abitava in una casa annessa alle carceri.

 

LE AMMINISTRAZIONI COMUNALI POST FEUDALI

Tutto il 1800 fu un secolo di grandi sconvolgimenti sociali, in particolare, il 1812 fu l’anno della svolta sociale per l’abolizione della feudalità; Con essa vennero abolite tutte le prerogative e i privilegi della nobiltà che come ogni cittadino fu costretta a pagare imposte e tasse che prima non pagava.

La classe emergente della borghesia ebbe in quel periodo l’occasione e i mezzi per contendere alla nobiltà il monopolio della terra con un’abile erosione dei feudi, dei demani e anche delle proprietà ecclesiastiche, soprattutto dopo l’unità d’Italia.

Fino al 1812 Delia faceva parte del territorio di Naro, una delle 42 comarche in cui era divisa la Sicilia.

 In quell’anno vennero abolite le comarche, l’Isola fu divisa in 23 distretti e Delia fece parte di quello di Caltanissetta che nel 1819 divenne una delle sette provincie siciliane.

Dal punto di vista amministrativo, il comune di Delia fin dal 1820 e fino agli inizi del Novecento fu nelle mani del ceto della grossa borghesia terriera, senza dubbio, la principale protagonista della storia dell’Ottocento deliano.

I borghesi venivano chiamati galantuomini. Il termine galantuomo in Sicilia aveva un significato esclusivamente sociale e non morale. Le persone appartenenti a questo ceto sociale vivevano del proprio censo o esercitavano una professione, vestivano il soprabito e avevano diritto al “don”.

Anche a Delia i galantuomini erano i nuovi ricchi del paese, vivevano delle rendite delle loro terre sfruttando la classe contadina, detenevano il potere locale e furono fino al 1914 i signori incontrastati del municipio.

Infatti, il sindaco del paese era scelto tra le loro famiglie e tutto il decurionato, l’attuale consiglio comunale, era totalmente rappresentato da loro.

 

1° Sindaco: Dr. Pasquale Pagliarello eletto nel 1820.

Sotto la sua sindacatura nel 1822 venne affissato l’avviso pubblico di concorso per la decorazione del presbiterio della la chiesa Madre da un progetto redatto qualche anno prima dall’ing.

 Gaetano Lo Piano di Caltanissetta. L’opera venne affidata ai fratelli Antonino ed Onofrio Dell’Orto stuccatori palermitani. L’arciprete era don Antonino Genco.

La spesa per la realizzazione di tale opera fu garantita attraverso una pubblica obbligazione della durata di quattro anni redatta presso il notaio Ignazio Meo nel 1825. Tutti i ceti sociali dai galantuomini all’ultimo campagnolo concorsero secondo i loro mezzi perché l’abbellimento della chiesa stava a cuore a tutto il popolo.

 

2° Sindaco: Notaio Antonio Micelisopo eletto nel 1826.

Durante il suo governo, nel 1826, venne deliberato dal decurionato la demolizione delle mura perimetrali di quella che doveva diventare la chiesa Madre di Delia dedicata a San Giuseppe, nella piazza del Popolo (la chiazza) .

 La lunghezza di tali mura era di 28 mt. e l’altezza era rimasta ferma ad un solo metro. Nel 1827, assieme alle mura vennero demoliti il cimitero accanto alla chiesetta di San Giuseppe e la grande croce di pietra che troneggiava in mezzo all’antica piazza del Popolo.

Il muro perimetrale ad occidente sorgeva proprio in mezzo alla strada maestra, l’antica via Petilia (oggi corso Umberto I), e venne abbattuto allargando in tal modo la via principale che in quel tratto era così stretta che poteva passare a stento una lettiga come ebbe a scrivere il sindaco Antonio Micelisopo all’intendente della valle di Caltanissetta.

Il cimitero e la croce per desiderio dell’arciprete Genco vennero spostati nell’odierna piazza Madrice ma durante il trasloco, a quanto pare, la croce di pietra andò in frantumi e non venne più ricostruita.

Sotto la sua sindacatura, il 27 marzo 1828, Francesco Paolo Gravina, ultimo dei principi di Palagonia, assegnò l’ex stato di Delia alla sorella donna Agata Gravina moglie di don Vincenzo Grifeo, principe di Partanna.

 Il principe Francesco Paolo nel 1831 sarebbe entrato nel terz’ordine francescano dedicando la sua vita ai poveri, agli ammalati e ai mendicanti.

 

3° Sindaco: dott. Giuseppe Maniglia eletto nel 1829.

Nel 1929 le decorazioni della cupola e del transetto della Madrice furono completati con verbale di consegna dell’ing. Lo Piano e la decuria diede mandato al presidente del consiglio, Stefano Candura, di occuparsi del pagamento.

 

4° Sindaco: Notaio Ignazio Meo eletto nel 1831. 

 

5° Sindaco: Notaio Antonio Micelisopo eletto nel 1834.

Sotto la sua sindacatura durante i mesi di agosto e settembre del 1837 ci fu una grave epidemia di colera che fece 62 vittime. Seguendo le disposizioni regie che vietavano le sepolture nelle chiese e nello stesso tempo sollecitavano la costruzione di nuovi camposanti fuori paese, si provvide a realizzare un secondo camposanto fuori dall’abitato e precisamente in contrada Cozzocampana dietro la chiesa della Madonna delle Grazie.

 

6° Sindaco: Filippo Maniglia eletto nel 1840.

In una Decurionale del 1842, il sindaco Filippo Maniglia rivendicò a nome del comune, contro i principi di Palagonia ex feudatari e baroni di Delia, una serie di diritti sui tre mulini “Soprano”, “Medio” e “Tigaro” in contrada Finocchiara, sulle acque pubbliche di cui usufruiva il barone, sui giardini recintati nell’ambito comunale, sul suolo sul quale erano state costruite le case del paese, sulle strade pubbliche e infine sulle rive del torrente Miele dove i deliani da tempi lontani lavavano e stendevano la loro biancheria.

Anche a Delia dopo trent’anni dall’abolizione della feudalità, i baroni si opposero a tali richieste dei sindaci intentando tutta una serie di cause civili che spesso i comuni persero con ulteriori danni alla già precaria economia comunale.

Nel 1844 Caltanissetta diventa diocesi e Delia viene staccata da quella di Agrigento per fare parte di quella nissena. Nel 1845 venne nominato nuovo arciprete di Delia don Filippo Maniglia.

 

7° Sindaco: Notaio Francesco Meo eletto nel 1846.

Sotto la sua candidatura, nel 1848 scoppiarono i moti rivoluzionari separatisti contro i Borboni. A Delia, la rivolta vide coinvolte in maniera corale tutte le classi sociali e fu il risultato di un malessere socio-economico che attraversava in maniera trasversale tutti i ceti: grande e piccola borghesia, contadini e artigiani.

La classe dirigente politica dei galantuomini guidò i deliani nei moti separatisti risorgimentali del 1848 nell’intento di conseguire l’indipendenza dal governo borbonico del Regno di Napoli.

 Come ci racconta lo storico del tempo G. Mulè Bertolo, dopo qualche settimana dall’insurrezione di Palermo e il giorno dopo quella di Caltanissetta anche i deliani, il 30 gennaio 1848, innalzarono la bandiera tricolore al grido unanime di “viva la Costituzione, viva la Federazione Italiana, viva Palermo, viva Ruggero Settimo”.

Il dottor Filippo Maniglia venne eletto all’unanimità presidente del Comitato provvisorio di difesa e di sicurezza pubblica.

Intanto un numeroso gruppo di notabili del paese tra cui Carlo Giorgio, Salvatore Pagliarello e il dott. Pasquale Pagliarello, assoldarono, a proprie spese, dieci cittadini per mantenere l’ordine pubblico.

Il 10 dicembre 1848 il consiglio civico presieduto da Stefano Candura deliberò di aderire a quanto sancito dal Parlamento Siciliano in ordine alla decadenza dei Borboni, di adottare lo statuto fondamentale della Costituzione Siciliana e conseguentemente di essere pronti al sacrificio della vita assieme a tutta la popolazione.

Quindi, anche i deliani, animati da spirito patriottico, parteciparono attivamente alle lotte risorgimentali e concorsero con 533,10 onze (6.800 lire) al prestito forzoso deliberato il 27 Dicembre 1848 dal Parlamento Siciliano.

Delia fece parte della quarantottesima associazione intercomunale per l’elezione dei deputati al Parlamento Siciliano.

Il 19 novembre di quell’anno il decurionato abolì l’antico diritto di primizia che competeva al parroco consistente nella percezione di 2 tarì (0,85 lire) da parte della maggior parte delle famiglie, per il mantenimento del culto divino.

 

8° Sindaco Salvatore Pagliarello eletto nel 1849.

I moti rivoluzionari furono subito repressi e i borbonici, ritornati al trono di Sicilia, restaurano il vecchio ordine.

 Furono riprese quelle manifestazioni folkloristiche in onore dei reali borbonici che erano state abolite. Anche a Delia, il 12 gennaio del 1852 venne festeggiato il compleanno del re Ferdinando II con una spesa di 12,84 ducati.

Sotto la sindacatura di Salvatore Pagliarello, nel 1851, a Delia sorse il Monte Frumentario. Questo tipo di sodalizio aveva lo scopo di venire in aiuto alla classe indigente durante i rigori invernali, incoraggiare la seminagione delle terre e combattere l’usura di ingordi speculatori. L’amministrazione del “Monte Frumentario” fu affidata al sacerdote Antonino Meo che la tenne fino al 1872.

 

9° Sindaco Giuseppe Giorgio eletto nel 1853.

Sotto la sua sindacatura venne emanato il primo regolamento di polizia urbana e rurale.

 

 

10° Sindaco Dott. Pasquale Pagliarello eletto nel 1859.

Il 1860 fu l’anno dei moti rivoluzionari per l’unità d’Italia. Lo sbarco dei mille suscitò tra i deliani un grande entusiasmo.

Un nutrito gruppo di giovani si unì all’impresa di Giuseppe Garibaldi per la cacciata dei Borboni dalla Sicilia e per la costruzione dell’unità della nazione italiana sotto il governo dei Savoia.

 I giovani che si unirono il 26 giugno 1860 in contrada Grottarossa ai garibaldini, che erano sbarcati a Marsala la mattina dell’11 maggio, erano: Maroto Alberto, fervente patriota, uno dei più tenaci animatori dei moti del 1848, Micelisopo Stefano che ci lasciò la pelle dopo le ferite riportate nella battaglia di Milazzo, Augello Giuseppe sopranominato “papacellu”, il musicante Talluto Angelo che fonderà la prima banda musicale organica di Delia, Sciabbarrasi Diego, Italiano Angelo e Romano Alessandro.

 Il 7 Giugno, Garibaldi aveva decretato che i comuni delle province di Palermo, Caltanissetta e Agrigento versassero dei contributi obbligatori in muli, cavalli e tela.

 Nel Giornale Officiale di Sicilia del 1860 al numero 91 si legge: “Il Comune di Delia con prontezza degna di encomio ha versato la somma di ducati 178 equivalenti al prezzo della tela e degli animali dovuti pel contingente dell’esercito nazionale”.

 

11° Sindaco Giuseppe Giorgio eletto nel 1861.

La sua sindacatura fu caratterizzata da gravissimi problemi economici e sanitari. Nel 1864 mancò il frumento e nell’estate del 1866 mancò completamente l’acqua.

 Nel 1867 scoppiò il colera che fece 277 morti. Durante l’epidemia si distinse il sacerdote Ignazio Barberi che seppe restare vicino ai suoi fedeli accettando di condividere con essi anche il contagio e la morte. Più tardi nel 1875 fu riconosciuto pubblicamente il suo eroismo.

 

 

12° Sindaco Dott. Pasquale Pagliarello eletto nel 1870.

Durante la sua sindacatura, nel 1872, il comune deliberò di aumentare il fondo per il mantenimento del culto da L. 242,25 a 361,25. In quegli anni la maggior parte delle chiese versavano in pessime condizioni come venne evidenziato durante la visita pastorale di mons. Guttadauro nel 1872.

 La chiesa di Sant’Antonio fu trovata sporca ed indecente, poiché era stata occupata più volte dai soldati che la adibivano a caserma.

 Le condizioni strutturali della Chiesa dell’Itria erano molto precarie e veniva temporaneamente chiusa per il timore che il pavimento cadesse nella cripta.

La Chiesa della Grazia in contrada “Madonna” era da tempo cadente in tutta la sua struttura e fu perpetuamente interdetta.

 La chiesa crollò alla fine dell’Ottocento e più tardi nel 1929 le sue pietre servirono a riempire la cripta della chiesa Madre mentre lo splendido simulacro della Madonna delle Grazie dello scultore Bagnasco era già stato spostato nella Madrice.

 Anche la chiesa del Carmelo non godeva di buona salute e per la sua posizione sulla sabbiosa collina di Monserrato era stata soggetta a piccoli crolli e lesioni nella sua facciata; dopo il 1872 vennero iniziati i lavori per la ricostruzione dell’intera facciata che furono completati nel 1883. Infine la chiesetta di San Giuseppe  non  poté essere visitata  perché  ormai  completamente caduta.

 

13° Sindaco Benedetto Micelisopo eletto nel 1875.

Il primo Ottobre del 1875 il consiglio comunale di Delia presieduto dal notaro Ignazio Meo sindaco funzionante dichiarò le chiese di proprietà del comune: “Il Presidente riferisce al Consiglio che diverse Chiese esistono nel comune, denominate 1) Chiesa Matrice, 2) Sant’Antonio Abate, 3) Madonna del Carmine, 4) Madonna dell’Itria, 5) Madonna delle Grazie, 6) del Calvario,7) di San Giuseppe, 8) di Monserrato e queste due ultime dirute; delle quali due sole attivate al culto che sono la Matrice e quella della Madonna del Carmelo; e siccome furono erette dal fervore popolare dei fedeli nel territorio comunale, voglia il consiglio dichiarare di proprietà comunale gli edifizii anzidetti.

 Il Consiglio Comunale intesa la proposta del signor Presidente considerando constare dalle popolari tradizioni che le anzidette chiese furono erette nel territorio comunale dall’oblazione popolare, unitamente e per appello nominale le dichiara come facenti parte del patrimonio del Comune e d’annotarsi nell’ Inventario Comunale da farsi tosto che la presente deliberazione verrà legalmente approvata”.

Nel 1875 fu deliberato che la chiesetta di San Giuseppe fosse completamente demolita. Più tardi nel suo posto venne realizzata la villetta “Filora” e il monumento ai caduti. In quell’anno venne encomiato pubblicamente il sacerdote Ignazio Barberi per il suo impegno durante l’epidemia del colera del 1867. Nel verbale del consiglio comunale si legge: “Il presidente riferisce al Consiglio che quando il colera morbus infieriva in questo comune nell’anno 1867 mietendo centinaia di vittime, il suddetto sacerdote Barberi, sprezzando la morte, avvicinava gli infermi ed apprestava loro gli ultimi conforti della religione”.

Il consiglio deliberò una gratificazione di 50 lire per lui ed altri sacerdoti.

 

14° Sindaco Notaio Ignazio Meo eletto nel 1876.

Durante la sua sindacatura, venne aperto a Delia, nel 1876, l’ufficio postale e arrivò pure il telegrafo che era ubicato in via Petilia e gestito dalla famiglia Notarstefano di Campobello di Licata.

Nel 1877, a causa della ormai fallimentare situazione finanziaria del Comune completamente privo di risorse economiche, la rappresentanza municipale guidata dal sindaco Ignazio Meo inviò alla giunta incaricata dei progetti per la nuova circoscrizione territoriale nella provincia di Caltanissetta la richiesta dove si chiedeva che fossero aggregati al suo piccolissimo territorio diversi ex feudi, tra i quali quelli di Gebbiarossa, Grasta, Draffù, Ramilia, Deliella, Marcato Bianco e Cappellano che appartenevano al territorio di Caltanissetta.

 Le motivazioni consistevano nel fatto che questi territori si trovavano alle porte del paese e che erano coltivati da deliani che per le controversie erano costretti  a ricorrere presso il pretore di Caltanissetta, anziché a quello della più vicina Sommatino dal cui mandamento Delia dipendeva.

 In secondo luogo si tentava di incrementare l’attività agricola già molto precaria, perché il comune divideva a  3600  abitanti  solo  666  salme  di  terra.

 In  terzo  luogo il comune dalle  imposte  avrebbe  percepito  un  cespite  notevole  da servire al miglioramento dei servizi nel paese che di fatto apprestava capitale e lavoro.

La situazione finanziaria del comune di Delia veniva descritta così: “Il piccolo comune di Delia, con molti e urgenti bisogni, è privo di qualunque risorsa economica, e versa in una deplorevole situazione finanziaria. Le sue entrate patrimoniali non sorpassano la somma di lire 26. […] A sopperire a tanta miseria, Delia è costretta gravarsi di tasse dirette ed indirette, dalle quali in linea di previsione, percepisce per le prime lire 7.724,97; e per le seconde lire 12.400. Ed è notevole che in questo enorme aggravio, la popolazione produttiva sotto l’aspetto della tassabilità, è di 608 contribuenti nella focatica, di 98 nella tassa sugli esercizi, e di 350 in quella sul bestiame.

Di fronte a questa angosciosa condizione economico finanziaria quante e quali non sono le legittime esigenze del paese! Nella viabilità, Delia è priva di strade rotabili interne ed esterne, e separata dalla più vicina stazione ferroviaria (quella di Canicattì) per ben 6 chilometri.

Nella igiene è con iscarsissime e condizionate acque potabili, con vie luride e con un cimitero in parte diroccato, in parte crollante.

Nella istruzione pubblica, non ha scuole, né maestri, bastando appena le finanze del Comune allo assoldamento di una sola maestra per l’istruzione femminile, e di due maestri per quella maschile, l’una e l’altra non provviste di tutte le classi elementari e senza materiale didattico.

Tutta questa miseria e tutti questi bisogni si riattaccano inesorabilmente alla questione della circoscrizione territoriale, giacché la vigente delimitazione spoglia il Comune dei mezzi che naturalmente potrebbero attingere dalla sua attività economica, e ne arricchisce in parte quello di Caltanissetta e in parte quello di Canicattì, che sfruttano a loro vantaggio le sovrimposte gravate sui terreni posseduti e coltivati dai naturali di Delia.

A riparare cosiffatte anormalità mira la domanda di questo Comune, in ordine alla nuova circoscrizione territoriale, nella quale domanda questa rappresentanza municipale, non è stata guidata dalla sola scorta del bilancio”.

Nel 1878 fu restaurato l’antico “Castellaccio” che le ultime scoperte archeologiche pare abbiano identificato con il castello di Sabuci.

Questo castello di origine araba, di cui si parla per la prima volta nel “Libro di Ruggero” scritto dallo storico arabo El Idrisi, per la sua posizione strategica, fu teatro di sanguinose vicende di guerra nel medioevo.

Durante la guerra civile nel 1360 circa, re Federico il Semplice ordinò di distruggerlo e bruciarlo per il pericolo che potesse diventare covo per nuove ribellioni.

Fu riedificato nel 1436 da Raimondo Guglielmo Moncada. Nel 1878 si trovava in un pessimo stato di abbandono e inoltre era deturpato da un mulino a vento di recente costruzione.

Si ritenne opportuno, pertanto, restaurarlo, eliminare il mulino a vento ed ammetterlo così all’onore di far parte dei monumenti nazionali del Regno.

 

15° Sindaco Comm. Amedeo Sillitti Gangitano eletto nel 1879.

Durante questa sua prima sindacatura, il giugno 1881 gli eredi del Principe di Partanna vendettero quello che restava dell’ex stato di Delia, in realtà molto poco, alla famiglia Tinebra.

 

 

16° Sindaco Giuseppe Giorgio eletto nel 1882.

Durante la sua sindacatura nel 1884 ci fu un’altra ondata di epidemia colerica.

 

17° Sindaco Comm. Amedeo Sillitti Gangitano eletto nel 1885.

La seconda sindacatura del Comm. Sillitti fu molto proficua. Nel 1886, iniziò la costruzione del nuovo palazzo comunale e scolastico in piazza Madrice nello spazio antistante all’antico magazzino del Principe che era stato ricostruito nel 1746.

 Il vecchio municipio sorgeva nell’attuale piazza Cesare Battisti. Una parte dei suoi locali erano adibiti a carcere (carzara vecchia=carcere vecchio) e, ormai, il resto dei locali non erano più sufficienti per le varie attività amministrative e burocratiche.

 Il progetto del nuovo municipio fu redatto dall’ingegnere Pasquale Saetta e i lavori furono dati in appalto a Leonardo Bevilacqua con una spesa che allora ammontò a L. 79.916,92.

Agli inizi degli anni ’90 anche a Delia sorse ed attecchì il movimento dei Fasci dei lavoratori.

 La sezione venne costituita nel febbraio del 1893 e il suo presidente fu il possidente e benestante Salvatore Pagliarello e arrivò a contare 239 iscritti.

L’associazione venne sciolta nel gennaio dell’anno dopo. Racconta A. Russo: “A Delia, non ci furono eccessi: si organizzarono i Fasci, e, cosa strana, alla direzione di essi c’erano nientemeno i così detti galantuomini. […] Ero allora ragazzo e assistevo alle dimostrazioni che in massa i lavoratori facevano e ne ricordo due, una fatta all’arrivo dell’On. De Felice Giuffrida e l’altra poco dopo nel Dicembre del 1893. […]. La seconda fu più rumorosa e direi terrificante e avvenne una sera di dicembre del 1893: i lavoratori in massa, dopo i discorsi tenuti dai capi della sede del Fascio, sfilarono muniti di lanterne, lungo la via Petilia, e credo, si recarono al Palazzo Comunale e verso l’abitazione del Comm. Sillitti, ed emettendo le solite grida di viva e di abbasso, ritornarono alla casa del Fascio.

Ripeto nessun atto vandalico, nessun eccesso fu commesso, ma ricordo che tutta la mia famiglia, come tutte quelle che abitavano nella stessa via lungo il percorso, se ne stette atterrita dietro l’uscio ad origliare, al passaggio dei tumultuanti. […] A poco a poco le grida e il frastuono si andarono attenuando e, quando i lavoratori arrivarono alla casa del fascio, cessarono del tutto e noi si andò a dormire tranquilli”

 

18° Sindaco Domenico Pagliarello nel 1894.

Il 1895 fu l’anno della disastrosa guerra d’Africa. Anche Delia partecipò a quella guerra con undici suoi cittadini. La partecipazione di quel gruppo di deliani a quella sciagurata impresa lasciò una lunga memoria in paese che è arrivata fino ai nostri giorni. Infatti, ancora oggi, specialmente tra le persone più anziane, per indicare una donna brutta o poco gradevole la si definisce “regina Taitù”. Taitu’ era una regina africana, moglie del Negus Menelik il quale nella battaglia di Adua sconfisse e ridusse alla resa gli italiani. I fatti di quella triste guerra furono raccontati per tanto tempo dai superstiti deliani e in particolare da uno di essi, tale Santo Talluto, che nei crocicchi delle strade si fermava a parlare dell’Africa e delle battaglie alle quali aveva partecipato.

 

19° Sindaco Calogero Licata Caruso eletto nel 1896.

 

20° Sindaco Salvatore Pagliarello eletto nel 1898.

 

 

21° Sindaco Domenico Pagliarello eletto nel 1901.

 

 

22° Sindaco Comm. Amedeo Sillitti Gangitano eletto nel 1908.

Nel 1912 fu fondata la Cassa Rurale ad opera dei sacerdoti Russo Ferdinando che ne fu presidente e l’arciprete neoeletto Calogero Franco.

 

 

23° Pro Sindaco Sac. Ferdinando Russo eletto nel 1914

Le elezioni politiche del 1914 videro protagonista il sacerdote Ferdinando Russo che alla guida del partito municipale cattolico che si era formato in quegli anni, ingaggiò la lotta contro il ceto dei nobili riportando un grande successo, grazie anche all’estensione del diritto di voto che portò gli elettori italiani da 3.500.000 a 8.000.000.

In quelle elezioni furono eletti don Russo con un gruppo di candidati tra artigiani, piccoli commerciati e contadini.

 Si formò un’amministrazione comunale di cui don Ferdinando fu eletto sindaco, o meglio pro-sindaco, poiché, non essendo ancora intervenuto l’accordo lateranense del 1929, i sacerdoti non potevano partecipare alle amministrazioni comunali in qualità di sindaci, ma venivano, in pratica, ad esercitare tali funzioni col nome di pro-sindaci.

Nel giornale “Il Popolo”, più tardi, in occasione della morte di don Russo, fu scritto: “Eletto circa dieci anni addietro con votazione plebiscitaria consigliere comunale, dovette, suo malgrado, lasciare l’insegnamento, che era la sua passione, per dedicarsi come consigliere anziano, funzionante Sindaco, alle cose del Comune; ed in tale carica lo sorprese la grande guerra europea, durante la quale rimase fermo al suo posto di combattimento, dedicando la sua operosa ed instancabile attività a beneficio della popolazione, la quale deve al suo grande patriottismo se non soffrì durante quel triste periodo, la fame e se non difettò di tutto quanto era necessario alla vita, e non si abbandonò infine a delle inconsulte e pericolose dimostrazioni”.

 Si legge in un componimento del maestro Barberi: “Nel tempo che la patria al gran cimento del suo riscatto si lanciava (la prima guerra mondiale) ei (don Russo) messo a capo d’esto Comun con rara competenza ne amministrò le sorti.

Animo forte e manieroso ad un tempo, riflessivo, di penetrante acume, esatto, chiaro nei suoi concetti a chi l’avvicinava una specie di fascino infondeva”.

 Dopo quelle elezioni il paese attraversò un nefasto periodo; prima per lo scoppio della prima guerra mondiale che costò alla comunità 52 morti, 3 grandi invalidi e 34 tra mutilati ed invalidi e poi per l’epidemia cosiddetta “spagnola” che si diffuse a Delia nel mese di settembre del 1918 e durò per quasi tutto il mese di ottobre dello stesso anno causando la morte di 130 persone.

Il comm. Amedeo Sillitti, che per circa un trentennio aveva dominato il paese, restò molto deluso ed amareggiato soprattutto perché si vide rifiutare e strappare da parte di tanti contadini le schede che porgeva loro per il successo della sua lista, espressione del ceto dei galantuomini.

 

24° Sindaco Avv. Giuseppe Russo eletto nel 1920

Nelle elezioni dell’ottobre 1920 si confrontarono il partito Popolare di don Sturzo fondato a Delia nel 1919 contro il partito dei galantuomini capeggiato dal cav. Domenico Pagliarello e dal cav. Giovanni Bartoccelli, genero del Sillitti.

Il comune fu conquistato dal partito Popolare e fu eletto sindaco l’avv. Giuseppe Russo.

In quegli anni l’azione sociale dei cattolici militanti del partito Popolare di Delia si concretizzò nella organizzazione e nella guida del movimento per l’occupazione delle terre.

Anche a Delia le masse contadine scesero in campo per la quotizzazione delle grandi proprietà. Il partito Popolare cercò di canalizzare e guidare quella tumultuosa realtà sociale seguendo le posizioni di don Sturzo sul frazionamento del latifondo, sulla funzione positiva della piccola proprietà e soprattutto secondo una linea moderata di ordinato accesso dei contadini alla divisione e al possesso delle loro quote di terra.

 Venne occupato l’ex feudo Draffù esteso 419 ettari e fu concesso alla “Società Cooperativa Agricola di Delia” dal Ministero dell’Agricoltura, con provvedimento del 28 maggio 1922, in conformità al Decreto Visocchi sulle terre incolte.

 Dopo un paio di anni fu acquistato e quotizzato ai contadini. Nel 1925 il governo fascista interruppe quel processo di quotizzazione delle terre appena iniziato e che aveva già portato a Delia qualche frutto con la divisione del feudo di Draffù. Nonostante l’impegno sociale, la nuova amministrazione “popolare” del 1920 dell’avv. Giuseppe Russo, a causa di lotte e discordie intestine, durò solo un anno.

L’amministrazione comunale, pertanto, nel 1921 passò nuovamente nelle mani di diversi commissari prefettizi che la mantennero fino al 1923 quando tornarono nuovamente alla guida dell’amministrazione comunale i galantuomini prima col sindaco Calogero Pagliarello fino al 1925 e poi con Giovanni Bartoccelli genero del Sillitti.

 

 

25° Sindaco Calogero Pagliarello eletto nel 1923.

 

26° Sindaco Giovanni Bartoccelli eletto nel 1925.

Durante la sindacatura del sindaco Bartoccelli, nel 1927, fu impiantata la prima centrale elettrica a carbone nello “stazzone”, oggi largo Canale, ad opera dei fratelli Termini.

Finalmente le case e le strade del paese non furono più illuminate con lumi a petrolio o acetilene ma con la corrente elettrica. La centrale elettrica a carbone funzionò fino alla fine della seconda guerra mondiale quando subentrò la Generale Elettrica.

Il 21 marzo del 1926 fu inaugurato l’istituto di Sant’Antonio. Erano locali destinati all’asilo d’infanzia con un reparto per un piccolo orfanotrofio femminile.

 

27° Podestà Giovanni Bartoccelli nominato nel 1928.

Durante l’amministrazione del podestà Bartoccelli, il governo fascista, per favorire lo sviluppo della viabilità e conseguentemente dell’economia delle degradate provincie di Agrigento e soprattutto di Caltanissetta, a partire dagli inizi degli anni ’30, decise di portare avanti un progetto atto a fornire una linea ferroviaria che partendo da Canicattì raccordasse Delia, Sommatino, Trabia miniere, Riesi, Mazzarino, San Michele di Ganzaria, San Cono e Caltagirone.

 Da qui, su linee preesistenti ci si sarebbe potuto collegare con Catania. I lavori, che durarono per tutti gli anni ’30, furono affidati in appalto alla ditta Li Vecchi di Favara ed ebbero corso fino alla quasi completa strutturazione della tratta comprese le stazioni, i caselli e i viadotti.

 Purtroppo, come tanti progetti nati in quel ventennio di dittatura fascista, tutto sfumò. L’Italia si era tuffata nel disastro della seconda guerra mondiale e i binari ferroviari non vennero mai posti.

 Il ferro venne convertito in ordigni bellici e così l’opera non venne mai inaugurata.

 Anche il cancello e l’inferriata della villetta Filora, lavorati magistralmente, com’è visibile in qualche foto d’epoca, furono smantellati per recuperare ferro.

 Dell’intera opera ferroviaria, ancora oggi, si vedono le tracce e i ruderi e anche a Delia rimane qualche testimone silenzioso di quella scommessa perduta, come la via Stazione, i due fatiscenti caselli ferroviari ancora visibili in viale Europa ed in via Campo.

Si sono perse completamente, invece, le vestigia dei grandi ponti dell’Itria e della Croce e di quello più piccolo di via Vignazza che, abbattuto, permise di far nascere l’attuale via Luigi Russo che continuando la via Vignazza è servita a collegare il centro storico del paese con le nuove zone residenziali che stavano nascendo.

 

28° Podestà Carmelo Barberi nominato eletto nel 1933.

Nel 1933 Delia ebbe il suo Monumento ai Caduti. Voluto dalla locale sezione Combattenti e Reduci, presieduta dal dr. Calogero Pagliarello, fu eretto nella centrale villa Flora col contributo di tutti i cittadini, del comune, delle due casse rurali e col ricavato ottenuto dalla rappresentazione del “Mortorio” nella Pasqua di quell’anno.

L’inaugurazione avvenne la prima domenica di giugno in occasione della festa dello Statuto Albertino. Opera dello scultore carrarese Mannino, la stele marmorea che costò duecento mila lire, elenca i nomi dei 52 caduti deliani della 1° Guerra Mondiale.

 Più tardi nel 1963 si aggiunsero i caduti dell’Africa Orientale e quelli (34) della Seconda Guerra Mondiale.

Alla base della stele sono raffigurati tre bassorilievi rappresentanti: il fregio del Comune di Delia, la Vittoria alata e un’aquila su un elmo di bronzo.

In cima alla stele è scolpita una daga con rami di alloro e quercia. Sempre nel 1933 fu realizzata la rete idrica e fognante.

Fu un traguardo fondamentale per le condizioni igieniche e sanitarie del nostro paese e per il benessere delle casalinghe costrette a recarsi nei lavatoi pubblici in contrada “ciura” e “mele” per lavare la biancheria.

 

29° Podestà Ins. Stefano Di Marca nominato nel 1937

Nel 1937 fu costruito il campanile della chiesa del Carmelo ad opera di Luigi Vilardo e di Giuseppe Riccobene con l’aiuto di tutto il popolino, donne e uomini che con enormi sacrifici portarono in un luogo così alto, le prime, l’acqua per l’impasto della calce e i secondi le pietre rosse con i loro carretti.

 È del 1939 la chiusura forzata della cassa rurale cattolica che portò dopo qualche anno anche alla scomparsa di ogni forma d’istituzione creditizia a Delia.

Anche a Delia la cassa rurale fu lo strumento finanziario che rese possibile l’operazione di scorporo delle grandi proprietà e permise la nascita della fascia sociale dei piccoli proprietari che, seppur piuttosto debole e precaria, rappresentò, certamente, una realtà di grande importanza nella crescita socio economica dei deliani. Durante la sua amministrazione, il 10 giugno del 1940, Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia accanto all’alleato tedesco.

 Il 7 luglio del 1943 in contrada Canale un aereo sperduto si liberò di alcune bombe incendiarie che uccisero due muli lasciati alla pastura tra le stoppie di una chiusa appena mietuta che presero fuoco terrorizzando tutto il paese.

 

30° Sindaco Dott. Diego Messana nominato nel 1943

Dopo lo sbarco alleato, per circa sei mesi, la società siciliana fu, effettivamente, rappresentata soltanto dalla Chiesa.

 Gli alleati, visti non come nemici ma come liberatori, vennero accolti da tutta la gente assieme ai loro sacerdoti con grandi manifestazioni di gioia.

Il vescovo mons. Jacono ottenne che Arcangelo Cammarata, amministratore del patrimonio diocesano, fosse nominato prefetto della provincia.

Il nuovo prefetto nominò sindaco di Delia il dr. Diego Messana che resse le sorti del paese uscito dalla guerra in condizioni economicamente disastrose fino al gennaio 1945.

 Anche a Delia attecchì il movimento separatista di Finocchiaro Aprile fondato nel 1942. Nell’estate del 1944, a Delia, si costituì il Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) e ne facevano parte tutti i partiti che si opponevano al fascismo e all’occupazione tedesca.

Pare che non sia stato denunziato nessun fascista, né il segretario politico del partito Nazional Fascista (PNF), né, tantomeno, lo stesso podestà Stefano Di Marca che era considerato un’ottima persona, onesta e tollerante.

Nel dicembre dello stesso anno si insediò in paese la Commissione militare per il censimento dei soldati sbandati. Questo fermento antimilitarista che venne alimentato anche dalla propaganda separatista cresceva di giorno in giorno fino a sfociare nella fatidica, tumultuosa e convulsa notte del 14 gennaio 1945.

Dopo mezzanotte le strade si riempirono di voci e si incominciarono a sentire i primi spari che si fecero via via più intensi.

Contro la caserma, sita, in quei tempi, nel Corso Umberto, furono lanciate anche bombe al cui scoppio seguirono gli spari del mitragliatore dei carabinieri.

 Quella notte suonarono a festa anche le campane della Madrice. I tafferugli durarono tutta la notte, furono scassinati i magazzini del consorzio e buttati quintali di frumento lungo le strade principali. Per fortuna non ci “scappò” il morto perché le forze dell’ordine, pur avendo circondato il paese la stessa notte, non provocarono i facinorosi, ma allo spuntare dell’alba fecero una capillare retata che portò all’arresto di decine di persone.

I fatti di quella terribile notte che sconvolsero il paese per tantissimi anni rimasero indelebili nella mente di tutti i deliani. In realtà, come venne chiarito qualche giorno dopo, quelle manifestazioni violente furono organizzate e gestite da una banda di malavitosi, per lo più venuti da fuori, che approfittarono del malessere socio-economico del popolo e della maggior parte dei giovani antimilitaristi, per creare quei disordini che permisero loro di mettere in atto le ruberie più disparate. Dopo questi gravissimi disordini fu nominato commissario prefettizio il dr. Luigi Li Vecchi.

 

31° Sindaco Ins. Calcedonio Di Francesco eletto nel 1946.

A Delia, le prime elezioni amministrative comunali si tennero il 24/03/1946 e furono precedute da una campagna elettorale molto irruenta e spigolosa.

Vinse, per appena 16 voti, il centro-destra che comprendeva la Democrazia Cristiana, il partito del Lavoro e gli aderenti alla sezione Combattenti e Reduci. Venne eletto sindaco l’ins. Calcedonio Di Francesco.

Il 15 maggio dello stesso anno venne varato il decreto sull’Autonomia della Regione Siciliana che divenne legge il 26 febbraio 1948. Il 2 giugno del 1946 ci fu il grande referendum costituzionale sulla scelta tra Monarchia e Repubblica.

Questa volta i social comunisti e i democristiani lottarono insieme per l’idea repubblicana e Delia seguendo l’andamento nazionale si espresse, per pochi voti, in favore della Repubblica sulla proposta monarchica in controtendenza riguardo al voto siciliano.

Il 20 aprile del 1947 si votò in Sicilia per eleggere la prima assemblea regionale e il partito Comunista e quello Socialista si unirono nel cosiddetto “Blocco del Popolo”.

Dopo il governo di unità nazionale formatosi alla fine della guerra, nelle elezioni politiche nazionali del 18 aprile 1948, viste come resa finale dei conti tra sinistra e centro, anche a Delia, il partito Comunista e il partito Socialista si fusero nel cosiddetto “Blocco del popolo” per contrastare la Democrazia Cristiana nell’ascesa al potere.

Le elezioni del 1948 verranno ricordate per i toni estremi e drammatici con i quali si svolsero. La curia romana aveva già scomunicato l’ateismo marxista. Comizi, riunioni, assemblee, cortei e canti furono il pane quotidiano dei partiti in lotta.

I cortei, affollatissimi, riempivano le strade. Davanti, sfilavano le bandiere poi gli striscioni, quindi i capi del partito e dietro la folla o dei rossi che cantavano a squarciagola “Avanti popolo alla riscossa, bandiera rossa trionferà” o dei bianchi che cantavano “O bianco fiore simbolo d’amore”.

Si corse realmente il grave rischio dello scontro violento perché i cortei spesso si incontravano l’uno di fronte all’altro col fare baldanzoso e sfottente dei propri adepti. Ma, la prudenza dei capi all’ultimo momento faceva deviare il percorso per strade diverse, evitando, in tal modo, lo scontro diretto che sicuramente avrebbe scatenato liti e violenze. La vittoria della Democrazia Cristiana fu schiacciante.

Gli anni dell’ amministrazione Di Francesco furono molto brutti per la popolazione poiché l’indigenza e la fame imperversavano quasi in ogni famiglia. Su una popolazione complessiva di circa 6.500 abitanti – nel censimento del 1936 c’erano 6.428 residenti, mentre in quello del 1951 se ne contarono 7.250 – furono presentate, in quegli anni, alla commissione ECA (Ente Comunale Assistenza) più di un migliaio di domande per poter avere periodicamente qualche chilo di pasta e farina e un buono giornaliero per mezzo litro di latte.

Tra le famiglie circolavano libretti d’assistenza rilasciati dall’Alto Commissariato per i profughi di guerra e dal Ministero dell’assistenza post-bellica. Il comune rilasciava libretti d’assistenza a mutilati ed invalidi civili e quelli di soccorso alle famiglie dei militari richiamati o trattenuti alle armi. A queste famiglie venivano corrisposti, quindicinalmente, 255 lire presso l’ufficio postale.

Nel 1948 vennero costruite le prime case popolari (plesso Escal) nella zona del Canale.

 

32°Sindaco Ins. Giuseppe Andaloro eletto nel 1948. (dal 01-07-1948 al 30-06-1950).

Durante la breve sindacatura Andaloro, nel 1949, furono pavimentati il Corso Umberto con basalti di pietra lavica e la piazza Madrice con mattonelle.

 

33° Sindaco Ins. Calcedonio Di Francesco eletto nel 1950.

 

34° Sindaco Ins. Giuseppe Dolce eletto nel 1952-1960

Nel 1952 la Democrazia Cristiana perse le elezioni amministrative e a guidare la nuova amministrazione comunale fu chiamato il comunista Giuseppe Dolce.

 Il sindaco Dolce, che due anni prima era stato nominato segretario del partito Comunista, fu espressione della lista Autonomia e Rinascita avente per contrassegno l’effige di Garibaldi e formata da comunisti e socialisti. Guidò il paese per due legislature mantenendo la carica fino al 1960.

I suoi dieci anni di sindacatura furono un periodo di intenso lavoro e di grande impegno politico.

 Si cimentò nella soluzione dei tanti gravi e annosi problemi che affliggevano la popolazione e, soprattutto, portò avanti quei provvedimenti che potessero favorire lo sviluppo del paese. In tal senso, si preoccupò di risolvere l’annosa questione idrica ripristinando e mettendo in sicurezza igienico-sanitaria i due vecchi acquedotti cittadini di “Fontana bianca” e “Meli”, avviando anche la costruzione della nuova rete idrica cittadina e realizzando il vecchio serbatoio comunale di Monserrato, grazie al quale, gli utenti della rete idrica, nel giro di pochi anni, passarono da 430 a 1.450.

Sensibile, anche come insegnante, al mondo della scuola e ai problemi dell’analfabetismo, fece costruire l’edificio delle scuole elementari ritenuto, allora, uno dei più moderni e all’avanguardia della provincia nissena.

In quegli anni vennero istituite scuole popolari e doposcuola e fu inaugurata una scuola statale di Avviamento professionale. Nella sua lunga sindacatura furono sistemate e pavimentate parecchie vie del paese che, in quei tempi, avevano il fondo sterrato, fangoso d’inverno e polveroso d’estate.

 Sul fronte dei servizi alla comunità vennero realizzati la pescheria comunale e i gabinetti pubblici; fu potenziato il servizio di nettezza urbana che venne affidato a due carrettieri; fu istituito il servizio veterinario comunale, una seconda farmacia e il servizio dei ricoveri ospedalieri per i bisognosi e i poveri.

Il sindaco Dolce si interessò per l’ampliamento delle reti telefoniche ed elettriche e per il potenziamento del nuovo servizio automobilistico di collegamento per Caltanissetta, Canicattì, Sommatino ed altri paesi.

 In quegli anni di grave crisi economica e di altissimi livelli di disoccupazione, Giuseppe Dolce si spese tantissimo nel sollecitare interventi e cercare finanziamenti per l’istituzione di cantieri scuola e/o di lavori di rimboschimento a favore dei suoi cittadini.

Non va dimenticata la sua battaglia, presso la società Valsalo, affinché venisse riaperta la miniera di zolfo di contrada Grasta, dove successivamente trovarono impiego molti lavoratori di Delia e Sommatino.

La sua popolarità oltrepassò i limiti paesani e, in provincia, fu molto apprezzato per le doti umane e politiche, ma pagò il prezzo di rappresentare una piccola comunità come Delia.

Infatti, fu osteggiato dal suo stesso partito nel tentativo di fare il salto di qualità come candidato all’Assemblea Regionale nel 1951 e al Senato della Repubblica nel 1958.

Perse la vita, all’età di 49 anni, per un grave incidente automobilistico, sulla strada Butera-Gela, il 26 marzo 1961, lasciando un profondo esempio di dedizione per il bene pubblico e di totale servizio per il suo paese e la sua gente che aveva tanto amato.

 

 

35° Sindaco Dott. Diego Messana eletto nel 1960-1964.

Si dovrà aspettare il 21.11.1960 per avere un altro sindaco democristiano nella persona del dr. Diego Messana, popolarissimo per la sua attività di medico per la gente e in mezzo alla gente e sempre oberato da tanti impegni non solo professionali.

 Deterrà la carica fino al 22.02.1964. Gli anni ’60 furono il periodo dell’emigrazione di massa che spopolerà il paese, lasciandolo in preda a gravissimi problemi economici, sociali e strutturali che i sindaci di allora dovettero fronteggiare con armi spuntate.

Durante l’amministrazione Diego Messana si diede inizio alla costruzione dell’edificio del palazzo delle poste in piazza Madrice. La cerimonia della posa della 1° pietra venne officiata dall’arciprete Franco alla presenza dell’on. Bernardo Mattarella, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni.

 

36° Sindaco Ins. Ferdinando Dolce eletto nel 1964-1965

Nel 1964 una breve crisi della Democrazia Cristiana portò alla formazione di una amministrazione di sinistra con l’elezione a sindaco di Ferdinando Dolce, fratello dell’ex sindaco Giuseppe.

37° Sindaco prof. Luigi La Verde eletto nel 1965-1970

Nelle elezioni del 1965 venne eletto il prof. Luigi La Verde che amministrò il comune dal 11-10-1965 al 31-07-1970. Il sindaco La Verde guidò la prima giunta di centro-sinistra, essendo ormai maturi, anche a Delia, i tempi di rendere operante la formula politica che prevedeva l’alleanza con i partiti della sinistra riformatrice compreso il partito Socialista, già collaudata a pieno dai politici di Roma.

L’amministrazione La Verde fu un periodo molto fecondo per ciò che attenne la viabilità del paese. In quegli anni furono sistemate e pavimentate, infatti, moltissime vie del paese. Fu ampliato l’organico comunale, rendendo, così, più efficienti i servizi via via più richiesti dalla gente. Nel 1956 il personale comunale di ruolo era composto da 7 unità, il personale avventizio era di 23, mentre venivano dati incarichi e servizi vari ad altre 6 unità.

Durante l’amministrazione del prof. Luigi La Verde vennero fatti diversi concorsi per la copertura dei posti vacanti in organico compreso quelli dei vigili urbani.

Degno di menzione è il contributo che Delia diede nel 1968 per i terremotati del Belice. L’alba del 26 gennaio vide partire da Delia, infatti, una piccola colonna di soccorso composta da un camion, da un furgone e da una 1100 Fiat.

Il sindaco La Verde e il suo vice Scarantino erano a capo del gruppo dei volontari deliani che, dopo un lungo ed estenuante viaggio, raggiunsero la zona del sisma e dopo aver superato diverse difficoltà, legate ad una totale disorganizzazione, poterono distribuire quanto avevano portato ai terremotati di una tendopoli di Santa Ninfa.

 

38° Sindaco Giuseppe Di Marca eletto nel 1970-1975

39° Sindaco Giuseppe Di Marca eletto nel 1975-1977

40° Sindaco Geom. Bancheri Cataldo eletto nel 1977-1978

41° Sindaco Ins. Salvatore Termini eletto nel 1978-1979

42° Sindaco Ins. Antonino Salvaggio eletto nel 1979-1980

43° Comm. Reg. Dr. La Manna Giuseppe nel 1980

44° Sindaco Salvaggio Antonino nel 1980-1985

45° Sindaco Dr. Calogero Messana eletto nel 1985-1990

46° Sindaco Avanzato Prof. Salvatore nel 1990-1992

47° Sindaco Ins. Antonino Salvaggio eletto nel 1992-1994

 

Elezione Diretta.

48° Sindaco Falzone Geom. Giuseppe eletto nel 1994-1998

49° Sindaco Di Maria Gioacchino eletto nel 1998-2003

50° Sindaco Di Maria Gioacchino eletto nel 2003-2008

51° Sindaco Messana Dr. Calogero eletto nel 2008-2013

52° Sindaco Bancheri Dott. Gianfilippo eletto nel 2013-20..

 

 

Angelo Carvello.